Ieri si è votato in Italia e in Francia, da noi per le amministrative, da loro per le politiche. In entrambi i casi era il primo turno cui dovrà fare seguito il turno di ballottaggio: domenica 18 giugno per l’Assemblea Nazionale di Parigi, domenica 25 per i comuni italiani. Stamane ho dato ai giornali un’occhiata più lunga del solito. “Comuni, la frana di Grillo” dice il titolo grande della Repubblica, che sulla colonna di spalla aggiunge: “Macron trionfa, a picco Le Pen e i socialisti”. Sullo stesso tono il Corriere: “I Cinque Stelle sconfitti nelle città” e “Ondata Macron La maggioranza è schiacciante”. Perfino il Fatto quotidiano, per una volta, almeno nei titoli, si trova d’accordo: “Sfida Pd-destra, 5Stelle fuori” e, quanto alla Francia, “Macron comanda da solo, Gollisti su, Le Pen moscia”.

La vittoria di Macron e la sconfitta di Grillo: questo è quanto resta d’una giornata elettorale in due nazioni, tanto affini per storia, cultura e sentimenti, quanto diverse per istituzioni politiche. La sconfitta, o meglio la battuta d’arresto dei Cinque Stelle, si spiega molto facilmente: si trattava e si tratta ancora, fra due settimane, di eleggere sindaci e consiglieri comunali. Le lunghe disavventure della Giunta Raggi a Roma non erano un buon argomento per il movimento di Grillo. E non lo era neppure l’incidente in cui è caduta la Giunta Appendino con la terribile bagarre di piazza San Carlo. Aggiungete la storia di Genova, con la candidata grillina scelta dalla rete, come si dice, e poi esclusa motu proprio dal leader, aggiungete l’inconveniente che si vota anche a Parma e che gli elettori si sono affezionati al loro sindaco ribelle Pizzarotti, forse proprio perché è ribelle e anche abbastanza simpatico: come poteva pretendere Grillo che questo turno elettorale fosse un successo?

In Francia il presidente Emmanuel Macron rischia – e sottolineo rischia – di ritrovarsi in Parlamento una di quelle maggioranze che una volta si dicevano bulgare, per sottolineare quanto fossero oceaniche, compatte e insieme poco adatte a una autentica democrazia. Il suo partito della République en marche potrebbe avere da quattrocento a quattrocentocinquanta seggi dei 577 di cui si compone l’Assemblea Nazionale: ho letto da qualche parte che Macron per primo sarebbe impressionato e forse spaventato da un simile risultato. Se davvero lo è, ha ragione e fa bene a esserlo. La cosa che più dovrebbe preoccuparlo è tuttavia un’altra: che ieri in Francia l’astensione dal voto ha toccato la soglia, mai finora raggiunta nella Quinta Repubblica, del 51,29 per cento. Vuol dire in matematica che, se prendete due francesi, non ne trovate uno intero che ha votato. Vuol dire in politica che al di là dell’entusiasmo che ha accompagnato l’elezione del giovane presidente e anche al di là dell’opposizione che una destra e una sinistra più o meno estreme proveranno a fargli in Parlamento, la maggioranza assoluta dei francesi resta estranea, confusa, forse indifferente alle novità del momento e probabilmente aspetta, senza soverchie speranze, di capirci ancora qualcosa.

In Italia, ieri, l’astensione è stata poco sotto al quaranta per cento. Ma qui già ci si entusiasma alle risorgenti sorti del bipolarismo. Un consiglio per tutti: sognate quello che volete, ma cercate di fare anche attenzione a chi non vota.