Ci siamo: La guerra di Roma è in libreria. Il sottotitolo è Storia di inganni, scandali e battaglie dal 1862 al 1870.

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Stefano Tomassini, La guerra di Roma, il Saggiatore

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Una storia lunga e intricata, in cui Roma, più che essere il soggetto, è l’oggetto delle evoluzioni politiche dell’Italia e dell’Europa. Il libro è diviso in quattro parti. La prima è intitolata Tempo di scandali: scandali grandi e piccoli, veri o inventati, come quello delle fotografie oscene di Maria Sofia, l’ex regina di Napoli. Lo scandalo più grande e vero in assoluto sta in quella palla di fucile italiana che andò a posarsi sul piede di Giuseppe Garibaldi all’Aspromonte, solo due anni dopo che il generale aveva fatto a Vittorio Emanuele II il regalo delle Due Sicilie. Scandali di tutti i generi, anche politici e istituzionali, come questo:

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Alle sei del mattino di domenica 21 giugno 1863 due uomini – e non dei più ignoti al paese – andarono ad appuntamento nel bosco di Stupinigi, più esattamente in un campo, che era stato recentissimamente concimato e dunque non profumava. I due non erano soli, c’era poca gente con loro, giusto il necessario: quattro testimoni, due per parte, e i medici o forse un medico solo che valesse per entrambi. La scampagnata era per un duello e i duellanti erano Marco Minghetti, presidente del Consiglio in carica, e Urbano Rattazzi, ex presidente del Consiglio. Era un po’ come se ai tempi nostri Matteo Renzi ed Enrico Letta si fossero dati convegno alla Caffarella per sfidarsi alla sciabola.

La seconda parte è il Tempo degli inganni. L’inganno maggiore è quello fra il governo di Parigi e il governo di Torino, che firmano un trattato, la Convenzione di settembre del 1864, interpretandolo ciascuno a suo modo. Ma ci sono altri inganni, come per esempio l’illusione concepita da Pio IX di poter fermare l’evoluzione del pensiero moderno, segnalandone nel Sillabo gli errori:

Un’altra cosa, per dirla tutta, mi aveva quasi subito infastidito: mi trovavo a leggere, una di seguito all’altra, proposizioni tutte condannate dal magistero di Pio IX, che risultavano come scolpite in altrettante lapidi che volevano affossarle e invece, a leggerle, facevano l’effetto di essere esibite, quasi a imperitura memoria. Era la sensazione curiosissima di trovarsi davanti una sorta di controcatechismo. Anche non volendo, senza pregiudizio alcuno, se ne ricavava un qualche senso di disgusto. E quindi già mi chiedevo: quanto poteva esser balorda quella idea di metter per iscritto e in bella copia una serie di massime – in tutto, come è noto, sono ottanta – che non avevano fra loro altro rapporto che quello di dover essere considerate in diverso grado pericolose dai fedeli cattolici? Molto balordo, mi sono risposto subito.

Terzo viene il Tempo di guerre. Due guerre europee: quella che nel 1866 prussiani e italiani fecero contro l’Austria, e l’altra, del 1870, che la Francia fece alla Prussia, ricavandone il crollo del Secondo Impero, l’invasione straniera, drammatiche turbolenze politiche e la Terza Repubblica. Cosa c’entra tutto questo con Roma? Per dirne una, l’abdicazione e l’esilio di Napoleone III, tradizionale alleato dell’Italia, ma anche principale protettore del potere temporale del papa, erano l’occasione perché l’Italia arrivasse a Roma senza incontrare ostacoli. Quella che io chiamo guerra di Roma era stata continuata senza successo nel 1867 da Garibaldi: il generale, dopo una vittoria a Monterotondo, era stato sconfitto dai pontifici e dai francesi a Mentana. Pochi giorni prima era completamente fallito il tentativo d’insurrezione romano:

Il fallimento era evidente già quella sera del 22 ottobre. La popolazione di Roma, nella sua larghissima maggioranza, non si era mossa: romanamente si potrebbe quasi dire che non aveva fatto una piega. Eppure quella stessa notte settantotto altri forestieri, guidati da Enrico e Giovanni Cairoli, approdavano alla riva sinistra del Tevere in una zona prossima all’Acqua Acetosa, là dove il fiume, che ha appena ricevuto le acque dell’Aniene, fa un’ansa più stretta.

La quarta parte del libro è intitolata Nel tempo. Allude naturalmente all’ingresso nel secolo della città chiamata eterna, ma vuole anche dire che è arrivato il momento per valutare le conseguenze, ovvero le proiezioni, dei fatti avvenuti dal 1862 al 1870 sull’Italia che vedremo dopo e un po’ anche sull’Italia che vediamo oggi. Io, per esempio, mi sono convinto d’un fatto: che il Risorgimento, inteso come movimento di élites, ma anche di popolo, inteso anche come fenomeno culturale e politico e, infine, come periodo storico, il Risorgimento, che ha avuto con la rivoluzione romana del 1848 e la Repubblica Romana del 1849 l’episodio più esemplare, finisce proprio qui a Roma nel 1870. Fra le prove che ho trovato c’è una lettera scritta da Alberto Blanc a Marco Minghetti il 12 ottobre 1870:

Il Genio italiano si formulerà qui con una espressione nuova, originale, propria. Le abitudini all’esilio, gli attacchi di cuore per i maestri della giovinezza oggi matura, le concezioni formate a ogni tappa della nazione lungo cinquant’anni, il guelfismo, il cattolicesimo liberale, l’Italia e il Papato collaboranti in politica, l’alleanza delle razze latine, conserviamoli come ricordi commoventi e come prove della nostra buona fede e del nostro buon volere in ogni situazione per la quale siamo passati, – ma rompiamone i legami nel nostro pensiero e nella nostra azione presente. La Germania, dopo l’Inghilterra e l’America, ha preso un tale vantaggio sul resto del mondo, che bisogna affrettare il passo e correre alla realtà, lasciare là le affezioni, i sogni e l’ideale sentimentale, e impossessarsi vigorosamente delle sole cose solide e sicure, la scienza positiva, la produzione, e la forza che proviene dall’una e dall’altra.

Io ho così commentato:

Come dirlo più chiaro che il Risorgimento è finito e, se per caso non lo fosse ancora del tutto, allora è questa la volta che deve finire davvero? Basta, siamo a Roma: l’unità d’Italia è compiuta. Basta sogni, basta nostalgie, basta ricordi di gioventù: ora si deve prendere esempio dai più capaci e affrettare il passo. E’ curioso che il luogo e l’origine di questa riflessione sia Roma: e forse così si può capire meglio perché Mazzini parli di “profanazione”. Sta nascendo un’altra Italia e vuole nascere proprio a Roma.

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Il Saggiatore

Stefano Tomassini

La guerra di Roma
ISBN 978-88-428-2432-9

Pagine 860

€ 32.00

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 ilSaggiatore  /  IBS  /  laFELTRINELLI

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RASSEGNA STAMPA

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Roma alla fine del Risorgimento tra trame, inganni e “archibusate”

Il Sole 24 Ore – 17 giugno 2018

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stefano tomassini, giovanni floris, di marted', la guerra di roma

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Intervista di Giovanni Floris a Stefano Tomassini su La guerra di Roma

di Martedì in libreria – la7 [13 marzo 2018]

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